lunedì 21 maggio 2018

Aristotele


Aristotele nacque a Stagira nel 384 A.C. A diciassette anni entrò nella scuola filosofica di Platone e divenne suo discepolo. Negli anni passati all'accademia sviluppò un forte senso di ammirazione nei confronti del suo maestro che però non gli impedì di sviluppare un pensiero critico verso lui. 
Aristotele fu il precettore di Alessandro Magno, futuro re Macedone. Tornato ad Atene fondò il Liceo, dove si dedicò all'insegnamento.
Venne esiliato alla morte di Alessandro Magno a Calcide, dove vi morì.

martedì 1 maggio 2018

Aristotele

I SUOI SCRITTI.

La sua produzione scritta si divide in scritti esoterici che non erano altro che gli appunti di cui il filosofo si serviva per le sue lezioni e quelli essoterici che erano in forma di dialogo e che venivano destinati al pubblico (a tale scopo si serviva dei miti).
Le opere esoteriche mostrano un pensiero filosofico ben delineato e sistematico, essi si dividono in:
- Scritti di logica;
- Metafisica (insieme di libri scritti e composti in epoche diverse);
- Scritti di fisica, storia naturale, matematica e psicologia;
- Scritti di etica, politica, economia, poetica e retorica.
Gli scritti essoterici mostrano una dottrina filosofica che ha subito crisi e mutamenti (inizialmente Aristotele aderisce al pensiero platonico, per poi allontanarsene e modificarlo sostanzialmente), riprendono gli argomenti e talvolta i titoli degli scritti di Platone e i più importanti sono:
- Il protrettico che è un' esortazione alla filosofia
- Il dialogo sulla filosofia che segna il primo distacco di Aristotele dal platonismo in quanto vi si trova la critica alle idee platoniche.
IL DISTACCO DA PLATONE E L'ENCICLOPEDIA DEL SAPERE.
Differenze Platone-Aristotele.
1-Per Platone la finalità della conoscenza è di tipo politico e il filosofo esprime al meglio se stesso come reggitore dello Stato mentre per Aristotele lo scopo della filosofia è la conoscenza disinteressata del reale e il filosofo è nella sua più compiuta espressione come sapiente.
2-Platone guarda il mondo secondo un'ottica verticale e gerarchica mentre Aristotele nella maturità del suo pensiero concepisce la realtà in un'ottica tendenzialmente orizzontale e unitaria(Aristotele considera le scienze su un piano di pari dignità gnoseologica e ritiene che la filosofia, intesa come metafisica, si differenzi dalle altre scienze solo perchè essa si interroga sull'essere e sulla realtà in quanto tali. La filosofia diviene scienza I poiché studia la realtà in generale e si concentra sull'essere, oggetto comune a tutte le scienze)
3-Platone ha interesse per le scienze matematiche, ma non per le scienze empiriche e naturali, mentre Aristotele, manifesta limitate propensioni per la matematica e notevole passione per le scienze naturali.
Analogia tra Platone-Aristotele.
Le visioni globali del mondo presentano notevoli punti di contatto.
COME CLASSIFICA LE SCIENZE ARISTOTELE?

Aristotele divide le scienze in:
- teoretiche che hanno per oggetto il necessario (cioè ciò che non può essere diversamente da come è), utilizzano il metodo dimostrativo e il loro scopo è la conoscenza disinteressata della realtà (fisica, metafisica, matematica);
-Pratiche (l'etica e la politica) e poietiche (le arti belle e le tecniche) che hanno per oggetto il possibile (cioè ciò che può essere diverso da come è), il metodo è quello non dimostrativo e lo scopo è l'orientamento nell'agire.
IL CONCETTO DI METAFISICA

Aristotele chiama la metafisica Filosofia I, essa ha per oggetto non una realtà particolare, bensì la realtà in generale. Nella sua opera Aristotele da ben 4 definizioni di metafisica:
- La metafisica studia le cause e i principi primi;
- La metafisica studia l'essere in quanto essere;
- La metafisica studia la sostanza;
- La metafisica studia Dio e la sostanza immobile.
L'ESSERE ARISTOTELICO
Secondo Aristotele l'essere è polivoco cioè noi vi attribuiamo significati particolari diversi ai quali però riconosciamo un comune significato di fondo. I vari aspetti dell'essere sono:
- l'essere come accidente;
- L'essere come categorie;
- L'essere come vero;
- L'essere come atto e potenza.
Le categorie sono le caratteristiche fondamentali e strutturali dell'essere, cioè quelle determinazioni generalissime che ogni essere ha e non può fare a meno di avere. Di tutte le categorie quella più importante è la sostanza poiché tutte le altre, in qualche modo, la presuppongono poiché la sostanza costituisce il “soggetto” della frase al quale le altre categorie fanno riferimenti come predicati.
CHE COS'E' LA SOSTANZA?
La sostanza secondo Aristotele è l'essere dell'essere, ossia il suo significato fondamentale. Per sostanza Aristotele intende in primo luogo l'individuo concreto che funge da soggetto reale di proprietà e da soggetto logico di predicati.
Il tode ti (questo qui, l' individuo) è un ente autonomo che a differenza delle qualità che gli si riferiscono ha vita propria. L'essere viene inoltre considerato da Aristotele come sinolo (unione indissolubile) di forma (cioè la natura propria di una cosa es. l'umanità per gli uomini) e materia (cioè ciò di cui è fatta la cosa). La forma è l'elemento attivo e deteminante del sinolo. La sostanza è l'essenza necessaria di una cosa, la struttura fissa e immutabile che la definisce e l'organizza. La sostanza è caratterizzata dall' accidente (che esprime una caratteristica casuale o fortuita della sostanza) e dall' accidente “per sè” (che rientra nell'ambito del sapere).
La sostanza può essere intesa anche come l'equivalente ontologico del principio logico di non contraddizione che esprime l'impossibilità logica di affermare e allo stesso tempo negare un medesimo predicato intorno ad un medesimo soggetto nonché dell'impossibilità ontologica che un determinato essere sia e insieme non sia quello che è. Aristotele definisce il principio di non contraddizione come il principio più saldo di tutti poiché anche quando lo si nega in un certo senso lo si afferma.
LA DOTTRINA DELLE 4 CAUSE
Aristotele crede che a determinare il perchè di una cosa concorrono 4 tipi di cause che sono tutte specificazioni o articolazioni della sostanza, che è la vera causa dell'essere, esse sono:
- la causa materiale che è la materia;
- La causa formale che prende in considerazione la forma;
- La causa efficiente che è ciò che da inizio al mutamento o alla quiete, ossia che origina qualcosa;
- La causa finale è lo scopo al quale una cosa tende.
LA DOTTRINA DEL DIVENIRE
La dottrina delle quattro cause è connessa al problema del divenire, che il divenire esista è un fatto ma come il divenire debba essere pensato è un problema. Aristotele è convinto che il divenire non implichi un passaggio da essere a non essere (come nelle filosofie precedenti) bensì un passaggio da un certo tipo di essere a un certo altro tipo di essere e, a partire da questa convinzione distingue 4 tipi di movimento o divenire:
- Il movimento locale, che consiste nello spostamento di un corpo da un posto ad un altro;
- Il movimento qualitativo quando cambia una caratteristica accidentale;
- Il movimento quantitativo che consiste in un accrescimento o in una diminuzione;
- Il movimento sostanziale che Aristotele specifica come generazione e corruzione vale a dire come la nascita e la morte. I primi 3 tipi avvengono in una sostanza che resta immutata mentre il quarto tipo riguarda precisamente la sostanza.
POTENZA E ATTO
Per potenza si intende la possibilità da parte della materia di assumere una determinata forma mentre per atto si intende la realizzazione di tale capacità. Il punto di partenza del divenire è dunque la potenza che si trova però in una situazione inferiorità gnoseologica, cronologica e ontologica nei confronti dell'atto in quanto esso costituisce la causa il senso e il fine della potenza.
LA MATERIA PRIMA E LA FORMA PURA
Una stessa cosa può essere considerata sia materia sia forma a seconda del punto di vista da cui la si osserva. Questa catena, secondo Aristotele, presuppone due termini estremi. Da un lato una materia pura, o, come dice Aristotele, una materia prima che sia pura potenza, assolutamente priva di determinazioni. La materia prima aristotelica corrisponde alla materia-madre di cui aveva già parlato Platone nel Timeo. Essa però è puramente teorica dato che ciò che esiste nel mondo è sempre materia formata. Dall'altro lato ci deve essere anche un atto puro cioè una perfezione completamente realizzata e che rappresenta la sostanza immobile e divina.
LA CONCEZIONE ARISTOTELICA DI DIO

Aristotele afferma che tutto ciò che è in moto è necessariamente mosso da altro, ma siccome non è possibile risalire all'infinito deve esserci per forza un principio “primo” e “immobile” causa iniziale di ogni movimento possibile e che Aristotele identifica con Dio (primo motore immobile).
Aristotele durante la fase giovanile considera il motore immobile come teologia mentre nella fase matura come ontologia.
Dio è Atto puro, Sostanza incorporea, Essere eterno e Causa finale del mondo. Esso muove come causa finale cioè esercita una forza calamitante sul mondo comunicando ad esso movimento poiché viene visto come l'oggetto d'amore verso il quale l'universo si spinge. A Dio secondo Aristotele appartiene l'intelligenza che conferisce a Dio la consapevolezza di conoscere già tutto e, per questa ragione, secondo Aristotele la vita divina è la più felice fra tutte. Aristotele possiede tendenzialmente un pensiero politeista poiché crede nell'esistenza di un Dio per ognuna delle 47 o 55 sfere celesti.
LA LOGICA E I CONCETTI DI GENERE E SPECIE
Secondo Aristotele la logica è un metodo di ragionamento. Rispetto al genere la specie ha maggior numero di caratteristiche e un minor numero di individui viceversa rispetto alla specie il genere è un concetto che include un minor numero di caratteristiche ma un maggior numero di individui. La specie infima o sostanza prima è una specie che sotto di sé non ha altre speci e che ontologicamente non può mai essere usata come predicato di un soggetto diversamente dalle sostanze seconde che sono invece le speci e i generi entro cui rientrano logicamente le sostanze prime. Al contrario esistono i generi sommi che corrispondono alle 10 categorie e che possono essere definiti come i modi generalissimi in cui l'essere si predica delle cose nelle proposizioni.

venerdì 27 aprile 2018

L'ARGOMENTO DEL TERZO UOMO

Proposto per la prima volta dallo stesso Platone nel Parmenide, l'argomento fu poi ripreso da Aristotele per opporsi alla teoria del maestro e contestarne la concezione trascendente delle idee. 

L'esempio portato da Aristotele nel suo rilievo critico è quello di un uomo, da cui il nome dell'argomento. Egli obiettò che, secondo la teoria platonica, tutti gli uomini del mondo sensibile sono tali perché partecipano dell'Idea di Uomo, perfetta in sé, ma separata rispetto a quei singoli uomini. Nonostante una tale separazione, tuttavia, vi deve pur essere un legame, o elemento in comune, in base al quale quegli uomini particolari siano effettivamente partecipi del loro Ideale corrispondente, altrimenti non vi parteciperebbero affatto. Proprio l'idea del «terzo uomo» rappresenta dunque tutto ciò che vi è in comune tra gli uomini sensibili e l'Uomo ideale. Ma a questo punto, anche il terzo uomo si troverebbe separato dall'Idea, e vi sarebbe bisogno di un ulteriore elemento che ne rappresenti gli aspetti in comune, poi un altro ancora, e così via all'infinito. Si parla pertanto in questo caso di "regresso all'infinito".
Aristotele conclude che una tale moltiplicazione degli enti rivela l'inefficacia della teoria che postuli una separazione tra gli individui corporei e le loro Idee corrispondenti. Ogni realtà deve piuttosto avere in se stessa, e non in cielo, le ragioni del proprio costituirsi (immanenza). Nel caso dell'esempio, «uomo» è un predicato comune a più enti, a cui viene erroneamente conferita un'esistenza autonoma da ciò di cui si predica, come se il predicato fosse esso stesso un uomo.

lunedì 19 marzo 2018

LE OPERE PLATONICHE

Denso di polemiche è stato fin dall'antichità il processo della storiografia filosofica per stabilire l'autenticità degli scritti di Platone. La grandezza della sua personalità, che ha costituito il punto di riferimento di una lunga tradizione, ha fatto sì che gli fossero attribuite molte opere da lui non scritte. Il rigore della filologia ottocentesca ha esasperato il problema, finendo col considerare spurie la maggior parte delle opere. In seguito la critica moderna, tenendo maggior conto della tradizione, ha preferito operare con più cautela; servendosi delle testimonianze antiche, considerando il contenuto dottrinale e soprattutto fondandosi sulla forma linguistica, ha riaccolto come autentici parecchi dialoghi. Importante è pure il problema della cronologia degli scritti, se si considera l'asistematicità del pensiero di Platone, per cui ritrovare la successione dei dialoghi significa cogliere lo sviluppo del suo stesso pensiero. I dialoghi vengono ordinati in base a vari criteri stilistici e di contenuto e raggruppati come segue: I periodo, scritti giovanili socratici, Apologia di SocrateCritoneIoneAlcibiade ILacheteLisideCarmideEutifrone; II periodo, di trapasso, EutidemoIppia MinoreCratiloIppia MaggioreMenessenoGorgiaRepubblica IProtagoraMenone; III periodo, dottrina delle idee, FedoneConvitoRepubblica II-XFedro; IV periodo, autocritica e fase finale, ParmenideTeetetoPoliticoFileboTimeoCriziaLe leggi. A questi dialoghi vanno aggiunte 13 Lettere, di cui la VII e l'VIII sono in genere date per autentiche. Il carattere dialogico degli scritti di Platone rappresenta la sostanza stessa della sua filosofia. Il dialogo platonico è sempre costituito da una tesi aperta, che nel contraddittorio viene esplicandosi, mentre l'interlocutore-contraddittore sposta di continuo le sue opposizioni di volta in volta che una verità va affermandosi. È lui stesso adeguatamente sollecitato a riconoscere la verità. Notevole è il cambiamento di stile da un dialogo all'altro: i dialoghi giovanili sono caratterizzati da interventi brevi e vivaci da parte dei partecipanti e conservano intatta la loro natura dialogica; gli ultimi sono appesantiti da lunghi interventi, che svisano l'andamento del dialogo e ne fanno quasi un trattato. Socrate è quasi sempre il protagonista, ma negli ultimi dialoghi la sua figura è sempre più sfocata o addirittura scompare.

PENSIERI FILOSOFICI

Filosofia: il particolare e l'universale

Le idee – afferma Platone – rappresentano l'assoluto e l'universale, gli oggetti della conoscenza sensibile il particolare e il contingente. Fra particolare e universale i rapporti sono due: di mimesi, in quanto il particolare imita l'idea e la prende a suo modello; di metessi, in quanto il particolare partecipa dell'essenza delle idee. Per il salto di qualità dal particolare all'universale bisogna percorrere i quattro gradi della conoscenza: la sensazione, basata sulle pure immagini dei sensi; l'opinione, che dà della conoscenza delle cose particolari giudizi variabili da individuo a individuo; la ragione, che offre una visione degli oggetti nei loro rapporti matematici; l'intelletto, che si colloca in diretto rapporto con le idee, attraverso la dialettica, definita da Platone “la vera scienza filosofica” in quanto sa cogliere gli oggetti nella loro realtà.

Filosofia: l'arte

Nella condanna delle vane apparenze della vita terrena Platone include anche l'arte (musica, pittura, poesia, ecc.), che si diletta a ritrarre lo spettacolo degli altrui sentimenti e passioni, alimentandone nell'uomo il pericoloso sviluppo invece di essere mezzo di purificazione e di elevazione morale. Motivo di questa avversione è il fatto che l'arte è “un'imitazione di un'imitazione”, in quanto non ritrae la pura realtà delle idee, ma si limita a riprodurre le cose, che a loro volta sono cattive copie delle idee. Essa è tutt'al più una “divina mania” (Fedro), un “dono divino” (Ione), ma rimane sempre un vedere per colorate immagini e con una chiara contemplazione dell'intelletto.

IL PENSIERO PEDAGOGICO

Partendo dal principio della profonda disuguaglianza fra gli uomini, Platone deduce che non tutti gli uomini sono adatti alla stessa funzione e quindi bisogna attuare la suddivisione dei compiti. Qui comincia la funzione dello Stato, che, assegnando a ogni cittadino il lavoro per il quale è adatto, mette la società in grado di avere un sano sviluppo. L'educazione ha il compito di scoprire queste attitudini e di valorizzarle. Su tutte le varie mansioni eccellono per importanza sociale la difesa dello Stato e la sua direzione politica. Esse dovranno essere affidate a veri professionisti, che alle attitudini aggiungono un'educazione adeguata al loro esercizio. Tale dottrina capovolge completamente il concetto di democrazia della pólis, per ritornare a quello dello Stato aristocratico, sebbene al privilegio del sangue si sostituisca il valore delle attitudini e delle virtù: i governanti devono distinguersi per la sapienza (quindi governanti-filosofi); i guerrieri per la fortezza; i produttori di beni per la temperanza. Nell'armonia fra queste virtù lo Stato realizza la giustizia, virtù che compete allo Stato, ma anche all'individuo quando egli assolve al suo compito. Alla virtù dello Stato Platone si appella quale condizione sine qua non per l'educazione del cittadino; diversamente, si avrebbero le forme degenerative della timocrazia (prevalere dei guerrieri sui filosofi), che a sua volta degenera nella plutocrazia (governo dei ricchi) e questa in democrazia (potere anarchico delle masse), che lascia il passo al peggiore dei governi, la tirannide. Come ha eliminato la democrazia, Platone elimina anche le leggi: esse non sono necessarie perché l'individuo nell'adempimento dei suoi compiti segue le sue attitudini (che costituiscono la vera norma del suo agire) e la base morale, che gli ha fatto acquisire l'educazione. Cade così un altro presupposto dello Stato costituzionale, la legge positiva, per lasciar prevalere la morale. In rapporto alle attitudini, la diversità di sesso non determina diversità sostanziali; quindi anche le donne, oltre a essere madri e casalinghe, possono esercitare anche le arti della guerra e del governo. Platone è convinto che lo Stato da lui ideato sia altamente educativo, perché, collocando ogni individuo al posto conforme alle sue tendenze, ne sviluppa la personalità e gli agevola il raggiungimento della felicità. Se alle grandi masse dei produttori è sufficiente questa educazione, che si realizza attraverso l'azione dei governanti, ispirati ai principi sopra descritti, per i guerrieri e i governanti sarà invece necessario un ben diverso tirocinio: per essi Platone postula la formazione del corpo mediante la ginnastica e quella della mente con la musica (Repubblica e Leggi). Per questi eletti l'educazione comincia a sette anni ed è uguale per ambo i sessi, ma è data in ambienti diversi. La ginnastica comprende tutti gli esercizi e mira a preparare il guerriero, ma soprattutto a formare il carattere e la personalità morale. Alla formazione della mente presiede la musica, ma è consentita anche la poesia, purché purgata da ogni elemento irreligioso o immorale. Altre discipline sono le matematiche, applicate alle arti militari, alla navigazione, ecc. L'insegnamento si svolge in dieci anni (il primario fino ai dieci anni; il secondario dagli undici ai diciotto) e le materie si succedono in questo ordine: poesia, musica, matematica. Segue un biennio di servizio militare. Nel guerriero virtù precipua deve essere la fortezza, che esprime il massimo della forza fisica, ma nel contempo disciplina la volontà a usarla secondo ragione. Dopo il servizio militare i migliori vengono avviati allo studio della scienza pura del numero (aritmetica, geometria, astronomia, acustica). Questo nuovo studio dura altri dieci anni e alla fine si opera una nuova selezione e solo i migliori si applicheranno per altri cinque anni allo studio della dialettica. A trentacinque anni il filosofo inizia il suo tirocinio politico continuandolo per quindici anni: a cinquant'anni la sua educazione può dirsi compiuta.

LA DOTTRINA MORALE

Quando l'uomo – teorizza Platone – arriva a una verità razionale, non acquista una nuova conoscenza, ma ricorda soltanto ciò che già aveva appreso e che aveva dimenticato. Per avanzare nella sua spiegazione Platone deve ammettere la preesistenza dell'anima: prima della vita presente, in cui è incatenato al sensibile, l'uomo è preesistito in un'altra vita, in cui la sua visione era intellettiva e percepiva immediatamente le idee. L'uomo passa poi attraverso diverse vite, ma la sua anima rimane sempre identica (prova, secondo Platone, della sua immortalità). Nei vari passaggi da un corpo all'altro, l'anima ha acquisito molte conoscenze, quindi non ci deve meravigliare che ricordi ciò che ha già conosciuto. La vera causa della sua immortalità consiste però nel fatto che essa partecipa della stessa natura delle idee e siccome queste sono immortali, immortale è pure l'anima: è la tesi sostenuta nel Fedone, dove Platone parte dal pitagorismo, ma lo trascende. Altri elementi religiosi ci offre Platone nel Fedro, paragonando l'anima razionale all'auriga, che guida una biga alata, tirata da due cavalli, l'uno pieno di generosi impeti (anima irascibile), l'altro portato solo ai piaceri più abbietti (anima concupiscibile). Il prepotente affermarsi dell'anima concupiscibile ha imprigionato l'anima nel corpo. Nel Timeo la creazione dell'anima razionale è invece collocata in un contesto cosmogonico a opera del demiurgo: questi offre all'anima la visione fugace del mondo delle idee e subito dopo le cala nei corpi, formati dalle due anime inferiori, irascibile e concupiscibile. Quest'ultima prevarrà tenendo incatenata l'anima razionale al corpo. Alla fine della Repubblica Platone fa raccontare a Er, morto in battaglia e risuscitato, la vita delle anime nell'oltretomba: le anime che hanno vissuto secondo ragione godono di uno stato originario di beatitudine; le altre devono trasmigrare di corpo in corpo scendendo sempre più in basso nella scala degli esseri. Su questa tematica religiosa s'inserisce l'“amor platonico”, che cerca nell'amante i segni della moralità più elevata, disdegnando quanto in essa è caduco e apparente. È questo l'insegnamento fondamentale di Platone, la sua dottrina morale.

SCIENZA DEI NUMERI E DELLE FIGURE

La scienza dei numeri e delle figure è studiata da Platone per la sua “purezza concettuale”, che consente di fare considerazioni logiche molto rigorose su concetti nitidi e liberi da ogni riferimento all'empiria, aiutando l'uomo a realizzare il passaggio “da ciò che diviene a ciò che è”. Con tale sua concezione Platone offre ai filosofi posteriori l'illusione che la matematica possa attingere le entità assolute introducendo una divisione troppo netta fra matematica e tecnica; l'illusione graverà sullo svolgimento del pensiero filosofico per lunghissimo periodo e sarà superata solo in tempi moderni. È un tentativo di Platone di salvare con la matematica la sua “teoria delle idee” e giungere a cogliere l'essenza della realtà. A questa funzione della matematica Platone accomuna anche le altre scienze, ma ne esclude drasticamente la fisica, che egli considera un semplice studio dei fenomeni. Con pari intransigenza rifiuta l'apporto dei naturalisti greci, negando loro proprio lo spirito di ricerca, che invece sarà considerato il dato più positivo dai moderni. Al tentativo appassionatamente perseguitato dai naturalisti di spiegare lo svolgimento dei fenomeni con cause fisiche e meccaniche, Platone oppone una spiegazione matematico-finalistica della natura, che condurrebbe a trovare la motivazione dei fenomeni nella realtà assoluta. Ormai l'antagonismo fra Platone e Democrito è completo e la grande influenza esercitata da Platone sulla filosofia posteriore farà perdere per molto tempo la traccia del pensiero democriteo: essa infatti riapparirà solo nei sec. XVI e XVII. Sulla strada della fisica finalistica (Timeo) Platone avanza fino a formulare l'ipotesi dell'esistenza di numerose analogie tra “macrocosmo” e “microcosmo”, per cui l'ordine esistente nella natura è a essa antecedente e quindi per spiegare i fenomeni bisogna richiamarsi ai principi naturali.

LA TEORIA DELLE IDEE

La genesi di questa teoria si deve ricercare nell'influenza esercitata su Platone dai filosofi precedenti: nel campo della conoscenza sensibile. Platone, infatti, accetta il relativismo di Protagora assieme alla teoria del pànta réi(tutto scorre) di Eraclito e ancora il fenomenismo degli ionici. Da queste premesse Platone deduce che la conoscenza sensibile porta solo a risultati provvisori, validi unicamente per le circostanze particolari in cui sono stati ottenuti. Con essi non è possibile raggiungere una conoscenza unica, perché su ogni oggetto si possono fare discorsi diversi parimenti accettabili. Protagora pretendeva di poter fare un discorso corretto pur nella molteplicità dei discorsi; Socrate esortava i giovani ad approfondire l'indagine dei valori morali per giungere a un discorso più preciso; Platone vuol togliere ogni carattere provvisorio alla conoscenza e a questo scopo scende nella più profonda interiorità dell'uomo affermando che la certezza assoluta è frutto solo di conoscenza razionale e, dove Socrate aveva scoperto l'universalità dei valori morali in quanto comuni e validi per tutti, egli estende tale validità anche al campo della conoscenza. Ritorna qui, riprodotta da Platone, la contrapposizione parmenidea tra razionalità e sensibilità, tra percezioni sensitive diverse da individuo a individuo e diverse nello stesso individuo e le idee, forme reali e immutabili delle cose. 

A differenza di Parmenide però Platone non concepisce l'essere reale come unico, perché formato da più idee. Il concetto è illustrato dal mito della caverna: l'uomo è come un prigioniero incatenato in una caverna, con le spalle rivolte all'apertura e la faccia alla parete. Fuori brilla una gran luce, nella quale passano gli esseri reali. La luce filtrando attraverso l'apertura ne proietta le ombre sulla parete e l'uomo crede di vedere il mondo reale, mentre in realtà ne vede solo l'ombra. Per arrivare alla verità effettiva l'uomo deve rompere le sue catene e uscire dalla caverna alla luce. Fuori della metafora – dice Platone – l'uomo è dotato di sensi, che lo legano al mondo delle apparenze, e di ragione, che gli fa conseguire invece la vera realtà, facendolo pervenire alla scienza, che è conoscenza assoluta e universale. Ma come rompere le catene che ci legano al mondo sensibile? Platone si richiama a questo punto al metodo maieutico di Socrate, ma dove il maestro l'aveva usato per risvegliare la voce della coscienza del suo interlocutore e fargli scoprire le verità della vita morale, Platone mira con esso a far scoprire al discepolo le verità razionali; per spiegarsi introduce un nuovo esempio: viene dato un problema di geometria da risolvere a uno schiavo digiuno di ogni cognizione in quella materia: dato un quadrato, deve trovarne un altro di area doppia. Il giovane tenta dapprima la soluzione più semplicistica: raddoppia i lati del quadrato, ma si accorge subito del suo errore e dopo vari altri tentativi traccia la diagonale del quadrato e, assumendola come lato, costruisce il quadrato doppio del primo (Menone). Il sistema maieutico – conclude allora Platone – funziona anche fuori dell'ambito che gli aveva assegnato Socrate. In realtà proprio questo esempio dimostra che Platone ormai si muove sul terreno delle verità matematiche dei pitagorici. A indirizzarlo alla dottrina pitagorica era stato Archita di Taranto, illustre pensatore e matematico, e su questa strada Platone arriverà a una nuova “mens religiosa”

VITA PLATONE

Filosofo greco (Atene 428-347 a. C.). Nato da nobile famiglia, discendente per parte di madre da Solone, sin da giovane ebbe educazione filosofica; secondo Aristotele conobbe Cratilo, scolaro di Eraclito, e si familiarizzò con la dottrina eraclitea. Ma in questo primo periodo la sua attività fu rivolta a composizioni letterarie, epiche e tragiche. A vent'anni conobbe Socrate, che lo guidò a un contatto fecondo con la filosofia. A Socrate Platone si mantenne fedele per tutta la vita, avendo visto in lui l'incarnazione del filosofare; l'intera sua produzione, lontana dal comporsi in un sistema, volle essere un continuo approfondimento interpretativo della personalità di Socrate, l'interlocutore principale di molti dialoghi e portavoce della filosofia originale di Platone. Il pensiero storico di Socrate è pertanto trasceso e allo stesso tempo rimane connesso alla sua ispirazione fondamentale. Già dalla giovinezza parve a Platone che la caratteristica prima del filosofo, il rapporto con la verità, potesse manifestarsi nella vita storica, fecondando e alimentando la politica, che riguarda la vita comune degli uomini. Dapprima lo stesso Platone fu tentato di partecipare alla vita politica della sua città, ma ne fu distolto prima dalle delusioni provocategli dal governo dei Trenta tiranni, poi dalla restaurata democrazia che se lo alienò del tutto per aver messo a morte Socrate. Da allora a Platone fu chiaro che solo un governo guidato dai filosofi poteva essere degno di venir detto buono. Di queste fasi della vita di Platone la Lettera VII, documento fondamentale per ricostruire la sua personalità, ci dà ampi squarci. Dopo la morte di Socrate Platone intraprese svariati viaggi, di cui uno forse in Egitto. Significativi per il rapporto con la politica sono i tre viaggi in Magna Grecia. A Siracusa, dove si legò di amicizia con Dione, zio di Dionisio il Giovane, Platone tentò di attuare la sua idea del governante illuminato dal filosofo. Ma Dionisio il Vecchio, allora tiranno della città, preoccupato dei suoi progetti, lo fece allontanare. Fu al ritorno ad Atene che Platone costituì l'Accademia, società culturale, alla quale diede la struttura di un'associazione religiosa. Quando Dionisio il Giovane succedette al padre, Platone tornò a Siracusa per riprendere il suo progetto, ma Dionisio, dilettante- presuntuoso del potere, deluse Platone che se ne tornò ad Atene. Una terza volta egli tornò a Siracusa, ma ancora fallì il suo tentativo di instaurare un governo retto dalla filosofia.

sabato 27 gennaio 2018

socrate

Socrate


Socrate visse durante il IV a.c ad Atene, dove vigeva la democrazia ateniese.
Egli si tiene fuori dalla schermaglia politica del tempo. 
Venne condannato a morte perchè accusato di aver corrotto i giovani, di aver commesso blasfemia contro gli dei.
Le sue sue lezioni erano caratterizzate dall'autonomia e dalla libertà, infatti egli usava la sua filosofia per aiutare gli altri a capire da soli cosa è giusto.
Di Socrate non abbiamo testi se non quelli scritti dal suo  discepolo Platone. Egli scriveva i dialoghi del suo maestro senza veramente scriverli. 
Socrate pensava che scrivendo non si scrivesse la verità assoluta.
Socrate fu l'alternativa ai sofisti, poichè attraverso l'ironia esponeva i concetti per "sedurre" i suoi allievi. Il suo dialogo era basato sulle domande. Egli si occupa dell'uomo come obbiettivo della filosofia (ciò che è bello è perchè è buono)
Socrate non era ateo ma credeva nel DAIMON, una  figlia degli dei tradizionali.
Socrate si difese da solo dalle accuse a lui rivolte, con l'aiuto dell'oracolo di  Delphi, egli infatti interpellò l'oracolo chiedendogli chi fosse l'uomo più saggio ed egli decretò Socrate poichè egli SA DI NON SAPERE.

Socrate utilizza la Maieutica, ovvero a capacità di far nascere le idee che già ci sono. Egli molte volte si paragona a sua madre, una levatrice, poichè fa partorire le menti.

SAPERE DI NON SAPERE = INCONSCIO 


Aristotele

Aristotele nacque a Stagira nel 384 A.C. A diciassette anni entrò nella scuola filosofica di Platone e divenne suo discepolo. Negli anni p...